Manca una politica capace di governare le migrazioni e l’inclusione degli immigrati. Il tema è certamente complesso, difficile da gestire per chiunque, spesso senza soluzioni a breve termine, nonostante i catarrosi ruggiti di tanti spelacchiati leoni da tastiera unta.
Servirebbe innanzi tutto una politica estera per veramente “aiutarli a casa loro”, invece prosegue un neocolonialismo predatorio che aggrava i problemi già esistenti (sottosviluppo, guerre, clima, ecc.); servirebbe una realistica politica dell’accoglienza nel rispetto dei diritti umani e della laicità; servirebbero politiche per l’inclusione, per evitare la formazione di ghetti nelle periferie delle città e nelle campagne; servirebbero tante cose ma – ahinoi – ci appioppano solo una campagna elettorale permanente che, per un pugno di voti, alimenta le paure e peggiora la vita sia degli autoctoni che degli immigrati.
Oltre la (non) desiderabilità, infatti, c’è la (non) fattibilità. Alcune cose vengono dette pur sapendo che non si possono fare. Come il blocco navale che, oltre a provocare un numero di morti che sarebbe insostenibile per qualunque governo (compreso l’attuale), equivarrebbe a una ancora più insostenibile proclamazione di guerra contro i Paesi nordafricani. Oppure come i rimpatri forzati, costosi e irrealizzabili senza un (difficile) accordo con i paesi di provenienza.
In altri termini, sul breve periodo, i migranti non li ferma nessuno, né i corridoi della buonista Schlein, né l’armiamoci e partite del cattivista Salvini, né il padre-padrone-padreterno di Meloni. Quella in corso non è concreta lotta politica tra destra e sinistra sulle misure per regolare il fenomeno migratorio, ma è semplice lotta ideologica, o se preferite di rappresentazione, di visione del mondo. Una lotta culturale nella comunicazione che non incide sul numero degli immigrati – che arrivano comunque – ma ha rilevanti conseguenze materiali e culturali per tutti.
Il problema è che le sinistre spesso contrappongono, alle posizioni irrealistiche delle destre, una rappresentazione altrettanto astratta, parziale e frammentata. L’etica del “restiamo umani” è condizione necessaria ma non sufficiente; non basta auspicare un mondo noborders, se poi i “borders” si riformano intorno ai ghetti delle nostre periferie. Serve anche una strategia politica di lungo periodo per non limitarsi al salvataggio in mare e alla prima accoglienza, alla semplice proclamazione di buoni sentimenti, all’intervento caritatevole.
Serve anche una analisi più realistica. Diversamente da quanto si sostiene spesso a sinistra, i più poveri che sfuggono alle guerre o alla siccità non arrivano in Europa, anche perché in genere non hanno i mezzi materiali, relazionali e culturali per spostamenti a lungo raggio. Emigrano soprattutto i “ceti medi” locali che sono anch’essi spinti dal bisogno e dal desiderio di una vita migliore, ma anche attirati dalla domanda di lavoro dei Paesi dell’Occidente, che però li vuole “irregolari”, senza diritti per sfruttarli meglio. Il vero “pull factor” non sono le navi ong ma la domanda di lavoro (ricattabile) dei caporali e dei padroncini leghisti.
Il “cattivismo” delle destre non blocca gli immigrati ma li rende più esposti alla criminalità e allo sfruttamento, adatti per mansioni a bassa qualificazione, coerenti con un modello di sviluppo che segue la via bassa alla competitività e un welfare sempre meno universalista, cioè al declino economico-sociale dell’Italia. Garantire i diritti di cittadinanza, sia degli italiani che degli immigrati, sarebbe anche uno strumento che, insieme a altri, può contribuire al governo dei flussi migratori e all’inclusione sociale.
Se gli immigrati arrivano comunque, perché non favorirne laicamente l’inclusione? L’alternativa è muoversi verso una società ancora più disuguale, con un mercato del lavoro ancora più segmentato e etnicizzato, una somma di ghetti che alimentano il disagio sociale, di tutti. Ne vale la pena per raccattare qualche voto in più?
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