Da quasi due millenni – da quando il cristianesimo è diventato religione di Stato grazie a Costantino – le vesti liturgiche si sono distinte da quelle civili per ricchezza e magnificenza, per indicare da un lato la superiorità del celebrante che impersona la divinità, dall’altro la sua “spersonalizzazione” tramite una divisa che ne sottolinea la funzione (come un cameriere, un soldato, ecc.).

La stessa vestizione del celebrante segue una procedura codificata: abluzione delle mani, vestizione dell’amitto, del camice, del cingolo, del manipolo (un po’ in disuso), della stola, della casula o pianeta. Per ogni step di questa procedura è raccomandata una specifica preghiera.

I siti, come quello di LAVDATVS (paramenti liturgici Made in Italy), mostrano vesti e accessori “alla moda”, anche con capi che costano varie migliaia di euro. Non mancano proposte economiche e sconti, per tutte le borse portaofferte, ma – con l’eccezione dei pochi che applicano con rigore il voto di povertà – la regola è quella della magnificenza barocca, della celebrazione della potenza divina (e dell’ostensione del potere terreno) anche tramite la ricchezza delle vesti, degli oggetti, dei luoghi del culto.

Lo scopo della chiesa – come diceva Max Weber – è cercare in tutti i modi di mantenere il monopolio dei beni di salvezza. Non è vero che l’abito non fa il monaco: anche l’abito può essere uno strumento di potere.