Lo dichiara il cardinale Gianfranco Ravasi, con un misto di rimpianto e furbizia comunicativa, in una intervista sul suo nuovo libro “Breve storia dell’anima”, citando Pasolini e echeggiando Gramsci.
Ravasi sembra lamentarsi della scomparsa dei veri atei in questo tempo in cui “non c’è una negazione radicale, strutturale, cosciente e coerente di Dio. Pensiamo a cos’è stata la negazione di Dio nell’ateismo classico, in quello marxista o in Nietzsche. Tutte forme molto nobili, elaborate, che interpellano la teologia e la sfidano. Per secoli è stato questo il modo d’interloquire tra spiritualità e negazione. Oggi, invece, domina l’apatia, che trascolora in quello che definisco apateismo, la cifra costitutiva del presente”.
Effettivamente in questa fase storica a cavallo del millennio domina ancora il pensiero debole (Gianni Vattimo) e postmoderno (Jean-François Lyotard), l’annuncio dell’avvento della società liquida (Zygmunt Bauman), il compiacimento per la frammentazione e la precarizzazione del pensiero e di ogni aspetto della vita, l’appiattimento sul presente e sul consumo immediato. Ma la presunta fine delle metanarrazioni (delle ideologie altrui), che ha sgretolato l’egualitarismo socialista, ha favorito l’egemonia dell’ideologia del pensiero unico, la presunta Fine della storia (Francis Fukuyama), il There is no alternative (Margaret Thatcher).
L’annunciata fine della modernità piace molto a tutti i cattolici, Ravasi compreso, ma la crisi dell’Illuminismo non porta automaticamente a un recupero della teocrazia medievale. Il postmodernismo ha minato anche le basi della religione o, più precisamente, l’ha trasformata in una religione a bassa intensità. Le ricerche (Franco Garelli, Gente di poca fede) ci mostrano un’Italia in cui aumentano atei e agnostici, soprattutto tra i giovani, e la maggioranza di chi si dichiara cattolico esprime una appartenenza senza credenza, vive la religione come un generico riferimento culturale, liquido, precario, superficiale.
Questo, ovviamente, a Ravasi non piace e quindi rimpiange gli atei di una volta, meglio se dogmatici in modo di potergli dire che in realtà fanno dell’ateismo la loro religione, sono speculari ma non alternativi. Contemporaneamente Ravasi (come Bergoglio) rifiuta di “ritirarsi dal mondo”, di arroccarsi nella purezza della fede, nel fondamentalismo. La dottrina (che neanche il “rivoluzionario” Bergoglio ha cambiato di una virgola) va riproposta, ma in forme e con strumenti nuovi, agganciando i temi del momento (come con le encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, che contengono frasi suggestive, ma che nulla innovano della dottrina).
“Noi oggi siamo nella civiltà dell’immagine e Gesù già utilizzava le parabole che sono racconti visivi. Oggi una parabola letta in chiesa attira molto più l’attenzione dei fedeli rispetto, ad esempio, al linguaggio sofisticato di Paolo” – ci spiega Ravasi tra un tweet e un post su Facebook e Instagram (non ancora su Tiktok) – “Dio parla attraverso la storia, non con le visioni estatiche. Va scoperto nel segreto, nel groviglio drammatico della storia, è l’Emmanuele, il ‘Dio-con-noi’”. In altri termini, Ravasi rifiuta il principio di laicità (quello dell’etsi deus non daretur) e pretende di occupare la sfera pubblica per affermare (e cercare di imporre) l’autorità e la superiorità morale della chiesa.
Noi atei relativamente veri (perché tutto è relativo, anche le nostre credenze) non ci accontentiamo di essere semplicemente speculari al dogmatismo dei religiosi, non temiamo il dialogo e il confronto, anzi coltiviamo la nostra spiritualità materialista; ma – diversamente dai postmodernisti, che tutto criticano ma poi accettano l’esistente, sia pure debolmente – non rinunciamo ai valori costituzionali di libertà, uguaglianza e laicità dello Stato; condividiamo quanto scriveva Gramsci nel 1917: “Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”.
Quindi noi atei lottiamo da partigiani per i diritti civili, politici e sociali, contro le ingerenze clericali che ci prospettano un futuro ritorno a un paternalismo caritatevole medioevale, come figlioli prodighi a cui si può anche dare una fettina di vitello purché si sottomettano al Padre.