Innanzitutto mi pare opportuno sfatare una comune convinzione, che negli ultimi decenni si è largamente diffusa, ovvero che l’istituzione Chiesa cattolica sia in crisi. L’osservazione non è corretta, corrisponde al vero un dato, una diminuzione del numero dei religiosi, fenomeno costante negli ultimi decenni, soprattutto in Occidente; ma la dimensioni del suo organico e dei suoi apparati operativi a livello globale, evidenziano una struttura che esprime valori di assoluto rilievo nel campo sociale ed economico. La Città del Vaticano , tramite l’ Agenzia Fides, presenta un quadro panoramico della Chiesa nel mondo tratto dall’ultimo «Annuario Statistico della Chiesa» che riguarda+ i membri della Chiesa, le strutture pastorali, le attività nel campo sanitario, assistenziale ed educativo al 31 dicembre 2021. A fronte di una popolazione mondiale di 7.785.769.000 persone, il numero dei cattolici era pari a 1.375.852.000 persone con un aumento complessivo di 16.240.000 cattolici rispetto all’anno precedente. L’aumento interessa tutti i Continenti, tranne l’Europa (-244.000). Come nel passato è più marcato in Africa (+8.312.000) e in America (+6.629.000), seguono Asia (+1.488.000) e Oceania (+55.000). Riguardo ai continenti le variazioni sono minime Il numero totale dei Vescovi nel mondo è diminuito di 23 unità, raggiungendo quota 5.340. Diminuiscono i Vescovi diocesani (-1) e i Vescovi religiosi (-22). I Vescovi diocesani sono 4.155 (Si chiamano diocesani i Vescovi ai quali è stata affidata la cura di una diocesi), mentre i Vescovi religiosi sono 1.185. Il numero totale dei sacerdoti nel mondo è diminuito, raggiungendo quota 407.872 (-2.347). A segnare una diminuzione consistente ancora una volta è l’Europa (-3.632) cui si aggiunge l’America (-963). Gli aumenti si registrano in Africa (+1.518), in Asia (+719) e in Oceania (+11). I sacerdoti diocesani nel mondo sono diminuiti globalmente di 911 unità, raggiungendo il numero di 279.610. I sacerdoti religiosi sono diminuiti in totale di 1.436 unità e sono 128.262.I diaconi permanenti nel mondo continuano ad aumentare, quest’anno di 541 unità, raggiungendo il numero di 49.176. Gli aumenti si sono verificati in tutti i continenti: Africa (+59), America (+147), Asia (+58), Europa (+268) e Oceania (+9). I religiosi non sacerdoti sono diminuiti di 795 unità, arrivando al numero di 49.774. Le diminuzioni si registrano in America (-311), in Europa (-599) e in Oceania (-115). Aumentano in Africa (+205) e in Asia (+25). Si conferma la tendenza alla diminuzione globale delle religiose in atto da tempo, che stavolta raggiunge la cifra di 10.588 unità rispetto alla rilevazione annuale precedente. Le religiose sono complessivamente 608.958. Gli aumenti si registrano, ancora una volta, in Africa (+2.275) e in Asia (+366), le diminuzioni in Europa (-7.804), America (-5.185) e Oceania (–240). I seminaristi maggiori, diocesani e religiosi, quest’anno sono diminuiti globalmente di 1.960 unità, e hanno così raggiunto il numero di 109.895. Gli aumenti si registrano solamente in Africa (+187), diminuiscono in America (-744), Asia (-514), Europa (-888) e Oceania (-1). Il numero totale dei seminaristi minori, diocesani e religiosi, è aumentato di 316 unità, raggiungendo il numero di 95.714. Sono diminuiti in America (-372), Asia (-1.216), Europa (-144) e in Oceania (-5), mentre si registra l’unico aumento consistente in Africa (+2.053). per numero di dipendenti al terzo posto dopo di Amazon prima di Accenture. Considerato che l’Italia è l’unico Paese al mondo che tramite il meccanismo dell’8 per mille ed un serie di agevolazioni fiscali, finanzia a larghe mani l’apparato ecclesiastico, il numero dei dipendenti della Chiesa sta a dimostrare che questa è una struttura che è in grado di generare ricavi che coprono interamente un costo, quello del personale, che, come è a tutti noto, è il più elevato (circa il 77%) dei costi generali di una struttura operativa. Dal punto di vista organizzativo si riconferma una rete globale di tutto rispetto nei tradizionali settori dell’educazione e della sanità. Nel campo dell’istruzione e dell’educazione, la Chiesa gestisce nel mondo 74.368 scuole materne frequentate da 7.565.095 alunni; 100.939 scuole primarie per 34.699.835 alunni; 49.868 istituti secondari per 19.485.023 alunni. Inoltre, segue 2.483.406 alunni delle scuole superiori e 3.925.325 studenti universitari. Gli istituti sanitari, di beneficenza e assistenza, gestiti nel mondo dalla Chiesa cattolica comprendono: 5.405 ospedali, 14.205 dispensari, 567 lebbrosari, 15.276 case per anziani, malati cronici e disabili, 9.703 orfanotrofi, 10.567 giardini d’infanzia, 10.604 consultori matrimoniali, 3.287 centri di educazione o rieducazione sociale e 35.529 istituzioni sociali di altro tipo. Le Circoscrizioni ecclesiastiche dipendenti dal Dicastero per l’Evangelizzazione (Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari) sono complessivamente 1.121, secondo l’ultima variazione registrata. La maggior parte delle circoscrizioni ecclesiastiche affidate al Dicastero si trovano in Africa (523) e in Asia (481). Seguono America (71) ed Oceania (46). Dopo aver descritto il quadro generale della presenza globale della chiesa cattolica, è stato affrontato il tema dell’incidenza degli oneri che la comunità italiana sostiene per finanziare gli apparati religiosi i cui costi annui ammontano a € 6.629.31.363.

Dettagliamo alcune voci:

· Contributi statali scuole cattoliche 430.000.000 €

· Contributi comunali scuole cattoliche 500.000.000 €

· Insegnamento della religione cattolica nelle scuole 1.250.000.000 €

· Esenzione IMU 620.000.000 €

· Otto per mille 990.000.000 €

Una riflessione a parte merita il capitolo dei Cappellani militari. Il mondo cattolico, specie in questi ultimi decenni, si è presentato come il paladino del pacifismo: le marce della pace ed altre pubbliche iniziative promosse dalle sue organizzazioni più rappresentative, ne sono la testimonianza. Ma nel segno della più limpida tradizione del doppio gioco politico, una delle istituzioni più rappresentative dell’apparato militare è l’ordinariato militare, più noto come i cappellani. Sicché ancora oggi l’ordinario militare, cioè il capo dei cappellani (attualmente è l’arcivescovo Santo Marcianò, succeduto al cardinal Bagnasco, che gode ora di pensione statale) percepisce ogni mese la cifra di 9.500 € lordi al mese, perché equiparato al grado di generale di corpo d’armata. La questione-cappellani presenta due aspetti inquietanti. Intanto quello che lo Stato (laico sino a prova contraria) si atteggia, per l’assistenza religiosa nei confronti di quanti sono sotto le armi, esattamente come se il cattolicesimo fosse ancora, in Italia, la religione di stato come fu dallo Statuto albertino (1848) e sino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana che nei principi fondamentali afferma invece – articolo 3, primo comma – che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (…) senza distinzione di sesso, di razza, di lingue, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Con la conseguenza che l’erario sborsa più di nove milioni e mezzo l’anno, ma naturalmente solo per i cappellani cattolici, attualmente in numero di 162. Non è prevista “assistenza” per chi appartiene ad altre religioni.

L’altro aspetto stupefacente della questione-cappellani è costituito dal livello del tutto ingiustificato dei gradi e quindi delle retribuzioni. Se l’Ordinario è equiparato a Generale di corpo d’armata, il suo vicario gode del grado di Generale di divisione o di Maggiore generale a secondo dell’arma (8000 € lordi al mese); l’ispettore è generale di brigata (6000 €); mentre sono assimilati ai Colonnelli (60/70mila € annui) il vicario episcopale, il cancelliere e l’economo.

Dopo aver dato un panorama generale dell’organizzazione della chiesa cattolica e dell’incidenza dei suoi costi sulla società italiana siamo passati al tema del cosiddetto «Terzo settore» (o ambito no profit) -denominazione che è apparsa in Europa alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, e in Italia alla fine degli anni Ottanta – Per Terzo settore si intende l’insieme di quegli enti privati che perseguono, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Di fatto, tutti quegli enti che operano e si collocano al di fuori degli altri due settori: quello pubblico, proprio dello Stato (in quanto sono enti di natura privata); e quello commerciale, perciò specifico delle imprese (in quanto sono enti che non hanno come fine il profitto). Costituito al momento da circa 12.000enti, nel Terzo Settore predominano le APS (Associazioni di Promozione Sociale). Da dieci anni la sussidiarietà è entrata a far parte della Costituzione italiana. Sono stati dieci anni caratterizzati da una progressiva crisi della società e dell’economia italiana, e da un’alternanza di esecutivi che non hanno saputo porvi rimedio. La sussidiarietà ha invece prosperato a ogni livello di governo (statale, locale) contando su un sostegno bipartisan o, per essere più precisi, sulla gara a cui hanno dato vita quasi tutti i partiti per ingraziarsi la società civile. La Chiesa cattolica ha da decenni intuito la potenzialità sociale ed economica del terZo settore, facilitata anche da una naturale e storica predisposizione nell’operare nei campi dell’educazione, dell’assistenzialismo e della cura. Un richiamo esplicito è contenuto nell’enciclica Quadragesimo Anno del 1931 di Pio XI. Quarant’anni dopo la Rerum Novarum, la Chiesa romana porta avanti , sviluppandola, la linea anti-statalista, difendendo le proprie organizzazioni. In particolare questa enciclica mette in evidenza la necessità che lo stato eserciti correttamente i propri poteri, senza invadere le competenze dei corpi intermedi (della Chiesa) e nel rispetto del principio di sussidiarietà che viene così definito: «Per il vizio dell’individualismo, come abbiamo detto, le cose si trovano ridotte a tal punto, che abbattuta e quasi estinta l’antica ricca forma di vita sociale, svoltasi un tempo mediante un complesso di associazioni diverse, restano di fronte quasi soli gli individui e lo Stato. E siffatta deformazione dell’ordine sociale reca non piccolo danno allo stato medesimo, sul quale vengono a ricadere tutti i pesi, che quelle distrutte corporazioni non possono più portare, onde si trova oppresso da un’infinità di carichi e di affari. È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium) le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle. Perciò è necessario che l’autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera l’azione dello stato stesso”.»

Nel 1961, con papa Giovanni XXIII (lettera enciclica Mater et magistra), la Chiesa cattolica ritorna a parlare della “questione sociale”; al paragrafo 40 dell’enciclica vi è un esplicito riferimento ai poteri pubblici, che «devono essere attivamente presenti allo scopo di promuovere, nei debiti modi, lo sviluppo produttivo in funzione del progresso sociale a beneficio di tutti i cittadini. La loro azione, che ha carattere di orientamento, di stimolo, di coordinamento, di supplenza e di integrazione deve ispirarsi al principio di sussidiarietà». A distanza di ulteriori trent’anni la dottrina sociale della Chiesa viene di nuovo orientata all’organizzazione sociale. È l’enciclica Centesimus Annus (emanata in occasione del centenario dall’uscita della “Rerum Novarum”) di papa Giovanni Paolo II che riafferma le precedenti elaborazioni, fornendo però un’interpretazione attualizzata anche nella terminologia:

«Disfunzioni e difetti dello Stato assistenziale derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune».

Anche successivamente la Chiesa cattolica promosse questo principio, sottolineando soprattutto il ruolo della famiglia e dei corpi intermedi in tutti i settori della società. l principio di sussidiarietà appare dunque fondato su una visione gerarchica della vita sociale e afferma che le società di ordine superiore devono aiutare, sostenere e promuovere lo sviluppo di quelle minori. In particolare, il principio di sussidiarietà esalta il valore dei cosiddetti corpi intermedi (famiglie, associazioni, confessioni religiose strutturate etc.), che si trovano in qualche modo tra il singolo cittadino e lo Stato: secondo questo principio, se i corpi intermedi sono in grado di svolgere una funzione sociale o di soddisfare un bisogno del cittadino (per esempio l’istruzione, l’educazione, l’assistenza sanitaria, i servizi sociali, l’informazione), lo Stato non deve privare queste “società di ordine inferiore” delle loro competenze, ma piuttosto sostenerle – anche finanziariamente – e al massimo coordinare il loro intervento con quello degli altri corpi intermedi. Tutto in nome della sussidiarietà. E senza controlli.

Esistono amministrazioni locali che erogano, con risorse pubbliche, contemporaneamente a cittadini in difficoltà e alle Caritas, che a loro volta s’impegnano a destinarli a cittadini in difficoltà: Il problema nasce dal fatto che, mentre le amministrazioni hanno l’obbligo di rendicontare i nomi dei beneficiari, nessuno conosce chi beneficia dei contributi delle Caritas, che sono organismi che fanno capo alle diocesi, che a loro volta non pubblicano i propri bilanci.

Il fenomeno è diffuso ovunque, proprio perché usufruisce di un consenso quasi unanime presentandosi come “volontario”, il servizio erogato fa evidentemente scattare la presunzione che sia anche più economico e che faccia “del bene”. L’immagine del “volontariato” copre tutto ciò che sta a monte del meccanismo della sussidiarietà. Quando si è provveduto a controllare (per esempio le comunità di accoglienza) è emerso che il terzo settore costa alle casse pubbliche più del triplo di quanto costerebbe la gestione in proprio. Il volontariato è tale finché non è istituzionalizzato e, soprattutto, sovvenzionato: quando deve assicurare un servizio in vece pubblica, comincia anche ad assumere una dimensione tale da non poter assicurare standard adeguati se non assumendo personale (spesso precario) o ricorrendo al servizio civile. Il Gruppo Abele è forse la realtà migliore tra quelle nate in ambito cattolico, ma a fine 2010 scriveva di impiegare «171 persone tra collaboratori e dipendenti nei diversi settori del Gruppo, oltre a 30 tirocinanti e stagisti, 15 volontari in servizio civile nazionale e 197 volontari». Giunti a questi livelli non esiste però quasi più alcuna differenza tra società for profit e associazioni non profit. Ed è pertanto legittimo chiedersi se il trattamento di favore riservato loro sia motivato e garantisca allo Stato e alle amministrazioni locali una maggiore efficienza. Oltre che un’effettiva laicità: che viene inevitabilmente meno quando l’organizzazione a cui è affidato il servizio in esclusiva è religiosamente orientata.

Si pensi ai paesini in cui l’unica scuola primaria esistente è quella della parrocchia. L’adesione degli enti religiosi al terzo settore trova un ostacolo nel fatto che gli stessi hanno come attività principale quella cultuale, pertanto per poter avere la qualifica di ETS si è dovuto creare un ramo ad hoc. Da ciò deriva che un ente ecclesiastico che volesse acquisire la qualifica di ETS o di impresa sociale è iscritto contemporaneamente al RPG e al RUNTS con il suo “ramo ETS”, oppure al registro imprese con il suo “ramo impresa sociale. Tuttavia è bene ricordare che quando parliamo di enti ecclesiastici dobbiamo sempre rammentare che la Commissione paritetica tra Santa sede e Repubblica Italiana, nell’intesa tecnica interpretativa ed esecutiva dell’accordo concordatario, ha stabilito che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti hanno una disciplina che presenta carattere di specialità rispetto a quella del Codice civile in materia di persone giuridiche. In particolare, gli enti ecclesiastici sono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili nel rispetto delle loro caratteristiche originarie stabilite dalle norme del diritto canonico. Vi si legge: “Non sono pertanto applicabili agli enti ecclesiastici le norme dettate dal Codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private. Non può dunque richiedersi ad essi ad esempio la costituzione per atto pubblico o il possesso in ogni caso dello statuto, né la conformità del medesimo, ove l’ente ne sia dotato, alle prescrizioni riguardanti le persone giuridiche private”. In particolare, il codice del Terzo Settore per il ramo degli enti ecclesiastici espressamente esclude l’applicazione di alcune norme all’ente religioso che costituisca un ramo di Terzo settore, ad esempio:

non vi è l’obbligo di inserire nella denominazione dell’ente l’indicazione ‘Terzo settore’ o l’acronimo ETS (art. 12, c. 2);
gli associati o gli aderenti di un ente religioso che ha costituito il ramo di Terzo settore non hanno il diritto di consultare i libri sociali (art. 15, c. 4); da ciò può dedursi che non è necessario che il regolamento preveda le modalità di consultazione dei libri inerenti il ramo;
gli associati o gli aderenti di un ente religioso (con più di 500 associati) non possono denunciare al Tribunale o all’organo di controllo i fatti che ritengano censurabili (art. 29, c. 3).

Anche il D. Lgs. n. 112/2017 prevede alcune esenzioni ed alcune applicazioni limitate della norma:

il rispetto del rapporto numerico tra lavoratori e persone svantaggiate deve tener conto solo delle attività inserite nel ramo e del personale ivi impiegato (art. 2, c. 6);
l’ente religioso deve depositare nel Registro delle Imprese solo il regolamento e le sue modifiche (art. 5, c. 4) e non anche il suo (eventuale) statuto (che resta retto dalle norme della Confessione cui appartiene l’ente);
gli enti religiosi che hanno istituito il ramo d’Impresa Sociale non sono tenuti a garantire il coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti,
i religiosi non devono essere conteggiati per determinare il numero massimo di volontari che possono essere impiegati nelle attività che costituiscono l’impresa sociale (art. 13, c. 2);

L’insieme di queste norme e di queste esenzioni, riservate agli enti religiosi, causa in buona sostanza la svendita di un bene pubblico, in questo caso di una norma che dovrebbe stabilire regole del vivere civile, agli interessi della comunità ecclesiastica: ennesima dimostrazione di una secolare sudditanza dei responsabili della comunità civile alla Chiesa cattolica.