Lo schema della comunicazione si può riassumere così: c’è un emittente, che ha una visione del mondo e competenze linguistiche, che decide cosa vuole comunicare; nel farlo immagina un tipo di destinatario e i pre-giudizi (bias) a cui può essere soggetto, esamina i mezzi disponibili, poi redige un messaggio (con i propri bias) e lo emette nel canale scelto.
Il destinatario, che ha una visione del mondo e competenze linguistiche almeno in parte compatibili con quelle dell’emittente, e ha accesso al canale di comunicazione usato, decodifica con i suoi bias (sull’emittente e in generale) il messaggio ricevuto, ed emette un’informazione di ritorno (feed-back).
Il feed-back c’è sempre, ma nel caso del faccia-a-faccia la compresenza spazio-temporale consente un’interazione anche non verbale; l’interazione è più mediata nel caso si usi la posta o il telefono, e ancora più nell’uso di social e tv (con like e auditel come feed-back).
La tecnologia ci condiziona ma è pur sempre uno strumento: prima di sostenere che i fake sono prodotti solo dai social si dovrebbero esaminare altri periodi storici con casi simili (anche se meno veloci); sono i social che ci hanno “indebolito il pensiero” o si sono affermati così perché avevamo già accettato un “pensiero debole”?
Comunque, la comunicazione è sempre una relazione (asimmetrica) di potere, perché non si può non interagire, non si può non comunicare, non si può non insegnare e imparare (esprimere una pedagogia buona o cattiva), cioè non si può non fare politica (influire sui rapporti di potere), perché la comunicazione è una azione e un processo sociale, strutturato e strutturante; i partecipanti creano e condividono informazioni e una visione del mondo; usano un linguaggio (quasi) comune; utilizzano e producono bias.
C’è un rapporto tra le relazioni intersoggettive (micro) e quelle tra gruppi, classi, istituzioni (macro), che sono strutturate dalle interazioni degli individui ma che, a loro volta, strutturano gli individui.
Dire “uno vale uno” è una nobile propensione, ma le relazioni tra individui, singoli o associati, sono sempre asimmetriche perché c’è sempre una differenza di potere (economico, fisico, culturale, reputazionale, ecc.). La questione è: qual è lo scopo e l’effetto della comunicazione? alla fine, l’asimmetria di potere è diminuita? è stata confermata? è aumentata?
Per esempio, partecipare a una lezione a scuola significa accettare l’asimmetria di potere (confermata anche dalla disposizione della cattedra e dei banchi, dal fatto che uno parla e gli altri ascoltano, ecc.), ma lo scopo di questa “subordinazione” è ridurre la disparità di potere (di conoscenza).
Le religioni invece presuppongono e fissano l’asimmetria: dio è onnipotente e tu sei la sua creatura, in mezzo c’è la gerarchia della chiesa e i poteri secolari legittimati dalla chiesa. La metafora della gerarchia terrena (papa, cardinali, arcivescovi, vescovi, ecc.) rispecchia quella “celeste” (serafini, cherubini, troni, dominazioni, virtù, potestà, principati, arcangeli, angeli). Lo schema, lo script, la visione del mondo, è che in cielo e in terrà c’è un dio, un papa, un duce, un padre (più o meno padrone o misericordioso), nel migliore dei casi con l’asimmetrica carità ma senza l’egualitaria solidarietà.
L’Illuminismo ha cominciato a liberarci individualmente e socialmente, proclamando l’egualitarismo e i diritti umani.
L’ateismo ci libera da questi schemi religiosi, ma di per sé non è una garanzia, perché ci sono anche gli atei elitisti, quelli che utilizzano devotamente le credenze religiose o che creano “culti” politici equivalenti. L’ateismo da solo non combatte tutte le disuguaglianze, l’ateismo non garantisce sempre l’egualitarismo e i diritti, però aiuta.