Quando è stata compresa la gravità della pandemia sono state diffuse ordinanze e raccomandazioni per limitare i contatti sociali.
Chiusi i musei e le librerie, e le chiese? I cattolici conservatori e progressisti hanno protestato insieme, il governo ha stabilito che le chiese restano aperte alla preghiera dei fedeli ma sono sospese tutte le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri.
Il vaticano ha dichiarato di voler rispettare queste disposizioni, il papa ha celebrato un rito in una piazza san Pietro vuota, intanto ha riempito a dismisura tutti i canali televisivi, a partire da quelli Rai, e continua a forzare l’interpretazione delle norme.
Le messe si celebrano “senza fedeli” ma alla presenza di sindaci, non come privati devoti, ma in veste ufficiale, con la fascia tricolore, “in rappresentanza” del popolo dei fedeli. A Milano il presidente della Lombardia Attilio Fontana, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il prefetto Renato Saccone hanno partecipato alla messa della domenica delle palme celebrata in duomo dall’arcivescovo Mario Delpini. In alcune città gli alpini hanno distribuito le palme benedette alla popolazione.
Il messaggio, ancora più in quanto contraddittorio con le norme e le raccomandazioni sull’isolamento, è chiaro: la cura delle anime è equiparata a quella dei corpi. Non solo, la presenza delle autorità simboleggia la presenza dell’intera cittadinanza, compresi atei, ebrei, musulmani, protestanti, ecc.
Una parte consistente dell’élite dominante ha deciso che per mantenere l’”ordine” serve uno strumento vecchio ma sperimentato: la religione di stato, che non può essere proclamata formalmente perché anticostituzionale, ma è riproposta come “costituzione materiale”.
Atei devoti e zelanti baciapile, politici traballanti e dirigenti Rai, imprenditori compassionevoli e direttori di giornale come Eugenio Scalfari, dimenticano o deformano il concetto di laicità (etsi deus non daretur) e non rispettano neanche il pluralismo religioso.
Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della Sera, nell’editoriale del 6/4/20, non certo con il linguaggio della fede ma con quello della realpolitik, ha parlato chiaro: «Oggi cultura e industria ci appaiono strumenti di rinascita e riscatto più idonei della religione. Il processo di secolarizzazione, anche nel paese più cattolico d’Europa, ha ormai espunto la fede dal dibattito pubblico, come se fosse un sentimento privato, rispettato sì ma in definitiva inutile al corpo sociale. Invece il sacro è sempre stato un formidabile strumento di tenuta e coesione delle società umane, e forse è addirittura è nato per questo scopo… perché “ecclesia“ vuol dire comunità.»
Amen.
L’arcivescovo ha invitato il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il prefetto della città Renato Saccone, in rappresentanza dei cittadini