Nel corso della guerra civile siriana, dal 2012, si è costituita un’amministrazione di fatto autonoma, denominata Federazione Democratica della Siria del Nord, o più semplicemente Rojava. Un territorio basato su una costituzione provvisoria ispirata al confederalismo democratico, una forma di democrazia partecipata centrata sulle comunità locali, pluralista, multietnica (arabi, armeni, curdi, turcomanni), fortemente caratterizzata per un’economia sociale e per la parità tra donne e uomini.
Il Rojava è stato determinante per sconfiggere i fondamentalisti dell’ISIS ma ora sta subendo una invasione da parte della Turchia di Erdogan, che di fatto ridà spazio allo “Stato islamico”, oltre a provocare morti, sofferenze, profughi, distruzioni.
La Turchia ha il secondo esercito per dimensioni della NATO, rifornito da USA e UE (e un po’ dalla Russia). Le imprese italiane Leonardo, Alenia e Beretta sono in prima fila. Ciò rende meno credibili le proteste ufficiali dei governi che chiedono ad Ankara di cessare l’incursione militare, preoccupati soprattutto per la minaccia turca di dirottare verso l’Europa 3,6 milioni di rifugiati siriani. D’altra parte l’intervento è stato implicitamente “autorizzato” da Trump che ha ritirato i militari USA presenti nel territorio poi invaso.
Serve quindi una forte mobilitazione per fermare questa aggressione militare, per spingere i governi ad un intervento più efficace. Sta circolando anche la proposta di boicottare i prodotti turchi (869 è il numero iniziale del codice a barre dei prodotti di origine turca).
Il Rojava si fonda sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sulla partecipazione democratica, sul pluralismo etnico, religioso e linguistico/culturale, sul principio di uguaglianza, sulla convivenza pacifica fra i diversi segmenti della società, sulla separazione tra Stato e religione: una rarità nella regione, e non solo; possiamo dubitare da che parte stare?