La rete informatica che avvolge il mondo è diventata talmente pervasiva che quasi nulla sfugge al suo condizionamento.

Anche le religioni sono presenti nel web con propri siti, dove forniscono informazioni sulle rispettive credenze, documenti scaricabili, annunci di eventi, chat per discutere i più diversi temi, per raccogliere suggerimenti, offrire testimonianze, indicare problemi, diffondere consigli, insegnamenti, ecc. ecc.

Le religioni utilizzano anche le piattaforme dei social media: Facebook/Meta, Twitter/X, Instagram, canali YouTube e podcast, qualcuno anche TikTok. Hanno anche elaborato app specifiche per smartphone e tablet (per i testi sacri, per i riti, per pregare o meditare, e per molto altro).
Alcuni, soprattutto tra gli anziani, rifiutano per principio l’utilizzo dei nuovi media, ma sono sempre meno. Ormai tutte le religioni, che io sappia, li utilizzano in vari modi e misure.

Stasera si parlerà delle interpretazioni sociologiche della presenza delle religioni nel web e anche di fenomeni più particolari, come quello dei telepredicatori evangelici che propongono la “teologia della prosperità”, o quello dell’utilizzo che i vari fondamentalisti fanno dei social per reclutare, collegare, orientare; e di molto altro.

Come vedremo, la principale differenza che possiamo osservare è quella tra le religioni storiche, che utilizzano anche il web, e nuove espressioni religiose che agiscono principalmente tramite il web o, addirittura, che hanno avuto origine direttamente online: cioè le religioni e i movimenti spirituali nativi del web.

Soprattutto in questi casi, queste religioni possono incorporare aspetti della cultura digitale che strutturano la loro organizzazione e la loro pratica religiosa. Questo ci richiama il problema, più generale, di quanto i nostri habitus (i nostri abiti mentali) strutturino i media e, nello stesso tempo, siano strutturati dai media informatici.

Marshall McLuhan, dicendo che “il mezzo è il messaggio”, ha sostenuto che il modo in cui un messaggio viene trasmesso ha un impatto più forte del significato stesso del testo o dell’immagine trasmessa, cioè che il “mezzo” condiziona la nostra interpretazione, la nostra capacità di comprendere il significato del messaggio.

Nel caso del web, e dei social che lo utilizzano, l’impatto consiste nell’accelerazione del tempo, nell’immediatezza che spinge a una risposta non meditata, più soggetta a fiammate (flame), a ondate emotive. Ondate emotive che, se protette dall’anonimato, favoriscono espressioni d’odio (come peraltro già diceva, più di un secolo fa, Gustave Le Bon in Psicologia delle folle).

Però lo schiacciamento del tempo in un eterno presente, senza passato né futuro, è una caratteristica del pensiero postmoderno, che ha preceduto l’affermazione dei social media. Quindi dovremmo chiederci: sono i social media che hanno indebolito il nostro pensiero critico? Oppure è il nostro pensiero debole e postmoderno che ha favorito l’affermazione di questi social, con la loro viralità e la loro polarizzazione?

Noi stasera parleremo di religioni nel web; non parleremo, se non incidentalmente, del più generale tema dei condizionamenti sociali dei media. Oggi la critica ai social sembra forte, soprattutto per le conseguenze sui minori, per la dipendenza che può creare. Recentemente, negli Stati Uniti, Mark Zuckerberg è stato costretto all’autocritica per l’incapacità delle piattaforme di gestire la disinformazione e l’odio online.

Ai nostri fini è sufficiente metterci in guardia dalle possibili letture unilaterali, che siano tecno-fobiche o tecno-entusiaste. Ci basta ricordare che il web, da un lato è uno strumento che tutti noi abbiamo strutturato, dall’altro è uno strumento che retroagisce strutturandoci, che retroagisce indebolendo il pensiero critico e l’attenzione, favorendo il conformismo di nicchia, il consumo passivo e veloce di informazioni non verificate, che favorisce la viralità, la polarizzazione.

Ringraziamo la Casa della Cultura che ci ospita e chi ci ascolta, in presenza qui a Milano o da remoto. Ricordo che la registrazione di questo incontro sarà disponibile in differita sul canale YouTube della Casa della cultura e su quello di ArciAtea.

Il primo a intervenire è il prof. Enzo Pace, sociologo delle religioni dell’università di Padova, presidente del Gruppo nazionale per la Stanza del silenzio e dei culti. Non avendo potuto venire a Milano interverrà da remoto. È collegato da remoto anche Alessandro Bonardi, coordinatore del Gruppo nazionale per la stanza del silenzio.

Seguirà l’intervento di Giulia Mezzetti, assegnista di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Poi quello di Claudiléia Lemes Dias ricercatrice e autrice di Le catene del Brasile, un Paese ostaggio delle religioni.
Infine le osservazioni e le domande fatte direttamente dai presenti o tramite il web, e le risposte delle relatrici e dei relatori.