Venerdì 25 marzo Bergoglio consacrerà la Russia e l’Ucraina al sacro cuore di Maria. Pare che dirà: «Noi, dunque, Madre di Dio e nostra, solennemente affidiamo e consacriamo al tuo Cuore immacolato noi stessi, la Chiesa e l’umanità intera, in modo speciale la Russia e l’Ucraina. Accogli questo nostro atto che compiamo con fiducia e amore, fa’ che cessi la guerra, provvedi al mondo la pace».

Zelensky, tra un parlamento e l’altro, ha parlato anche con il papa e gli ha chiesto di proporsi come mediatore. In realtà il papa ci aveva già pensato da solo e il 25 febbraio era andato dall’ambasciatore russo.

Bergoglio, infatti, sarebbe felicissimo se riuscisse a farsi accettare come mediatore, ma la questione è complicata e è obbligato a mantenere una posizione “equilibrata” e lungimirante, visto che la multinazionale vaticana sta investendo anche in Cina e in altri Paesi che non “sanzionano” la Russia.

Ciò crea qualche imbarazzo, non tanto per questioni di principio – la chiesa cattolica ammette la guerra giusta, non è pacifista (CCC 2309) – ma per esigenze di collocazione geopolitica.

La “soluzione” sta nel cercare di allargare la coperta, differenziando con cautela, perché pastori e pecorelle nazionali non sempre accettano il centralismo vaticano, ovvero:

– Il board della corporation invoca la pace, critica il riarmo e esalta il volontariato che assiste i profughi;

– Il cardinale e segretario di Stato Pietro Parolin si sbilancia un po‘: “Il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il proprio Paese comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi”.

– Le filiali nazionali possono sbilanciarsi di più, fino alla benedizione di armi e combattenti cristiani che si sparano ecumenicamente contro altri combattenti cristiani, altrettanto benedetti (ma dalla chiesa ortodossa schierata con il patriarca di Mosca e tutte le Russie).

Insomma, l’importante è benedire, però è difficile farsi accettare come mediatore quando si è anche parte in causa, visto che tra le cause remote del conflitto c’è anche lo scontro interno tra ortodossi russofoni e cattolici filo-occidentali.

I dubbi derivano anche dallo scenario geopolitico atteso.

Se nel mondo che verrà gli USA restassero l’unica superpotenza e la globalizzazione proseguisse (quasi) indisturbata (fine della storia alla Fukuyama), avremmo uno scenario neo-feudale: un mercato “universale” che depotenzia gli Stati-nazione (che hanno garantito i diritti e il welfare) e che si articola in corporazioni e piccole patrie. In questo scenario di “impero” neoliberista, la chiesa cattolica – come nel Sacro Romano Impero – assolverebbe alla funzione universale (cosmopolitica) e a quella comunitaria (feudale e corporativa).

Se gli USA fossero costretti a un neo-bipolarismo, a una riedizione della guerra fredda in cui l’Occidente a guida USA compete con la Cina per spartirsi l’egemonia sul terzo mondo, allora la chiesa cattolica avrebbe un bisogno fortissimo di legittimare la sua presenza anche nel secondo mondo a guida cinese.

L’eventuale declino degli USA può portarci a uno scenario multipolare multiculturalista, alla Huntington (di scontro fra civiltà), cioè al rafforzamento di potenze regionali basate su riferimenti politico-culturali di tipo etnico-religioso.

A noi, invece, piacerebbe uno scenario multipolare universalista, in cui aggregazioni macro-regionali potrebbero garantire un maggiore equilibrio tra potenze e un rilancio del ruolo dell’ONU. Questo scenario fornirebbe più garanzie per la laicità dello Stato, per la pace, i diritti, il welfare; consentirebbe di criticare trasversalmente le ingiustizie di ogni potenza, senza farsi intruppare in un identitarismo politico o etnico-religioso. L’incapacità dell’UE di darsi un ruolo politico autonomo, però, non ci induce all’ottimismo.