Ratzinger interviene sulla pedofilia e scrive che «è necessaria la protezione dell’accusato e la protezione giuridica del bene che è in gioco», ma questo “bene” non sono i bambini e le bambine abusati dal clero.
Il “bene” di Ratzinger è la fede, l’ordine teocratico messo in discussione dal laicismo, dal relativismo e dal permissivismo del ‘68 (come se gli abusi sessuali del clero prima non ci fossero).
Gli abusi sessuali provocano danni psichici e socio-comportamentali gravissimi sui bambini e sulle bambine.
Gli abusi sessuali commessi dal clero sono molto diffusi, anche perché incrociano un loro alto livello di isolamento (obbligo al celibato), un alto livello di potere e autorità (educatori, mentori, custodi), e molte opportunità di contatto con adolescenti, bambini, disabili (frequentazione in chiese, oratori, ecc.). La pedofilia nella chiesa è un problema sistemico.
La Chiesa tratta la pedofilia soprattutto come un peccato, non come un reato, e non favorisce la denuncia dei pedofili e la prevenzione di altri abusi. Il pedofilo usa spesso il proprio ruolo di potere per esercitare la predazione, verso i bambini e le bambine più indifesi, e verso adulti vulnerabili (malati, disabili), usa spesso uno schema tipico.
È necessario imparare a individuare gli abusatori, a denunciarli, ad adottare le necessarie misure di prevenzione.
Le “scuse” di Bergoglio per la pedofilia nella chiesa cattolica e il suo motu proprio sono insufficienti, parziali, reticenti, inefficaci, senza l’obbligo di denuncia alle autorità civili, come ha fatto notare Francesco Zanardi, presidente di Rete l’Abuso.
La “spiegazione” di Ratzinger è fuorviante perché non individua le cause sistemiche della pedofilia nella chiesa, ma le proietta sulla modernità laicista, relativista e permissivista, che non si sottomette a Dio e alla Chiesa.
Intanto una parte del clero continua a “sottomettere” i più deboli.