23 marzo 2019: giornata dell’orgoglio ateo

Gli atei sono stati perseguitati in tutto il mondo, e in molti Paesi continuano a esserlo. Fino a non molto tempo fa anche in Italia era obbligatorio credere per non “fare la fine delle castagne”; ora non più, ma continua a essere diffuso lo stereotipo dell’ateo arido e rancoroso, a cui mancherebbe “qualcosa”.

Per superare i pregiudizi e le discriminazioni politiche e culturali dobbiamo dichiarare il nostro orgoglio di essere razionalisti, agnostici, atei, per una società di liberi e uguali, contro ogni settarismo religioso e politico.

Dobbiamo dichiararci quali siamo, senza “nasconderci” dietro definizioni edulcorate dettate dalla paura della riprovazione, se non della repressione.  Siamo fieri di essere atei e sosteniamo l’ateismo perché lo riteniamo più coerente con una visione liberatoria e antiautoritaria, non certo per difendere una “corporazione” di atei, spesso “devoti”.

Il 23 marzo 2019 si celebrerà l’Atheist Day per ricordare che gli atei sono una (numerosa) minoranza tra le più discriminate e perseguitate al mondo (Freedom of Thought Report 2018; Atheist Republic). In almeno 18 Paesi l’apostasia (l’abbandono di una religione) è punito con il carcere (Bahrain, Brunei, Comoros, Gambia, Kuwait, Oman) o addirittura con la morte (Afganistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Malaysia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Quatar, Somalia, Sudan, Yemen).
La legislazione è improntata su principi religiosi in molti Paesi, anche in Occidente: in Arkansas gli atei non possono testimoniare in tribunale perché non possono giurare sulla Bibbia; in sette Stati degli USA non possono diventare pubblici ufficiali (IEHU).

Quindi dobbiamo lottare per affermare la laicità, quella vera, cioè l’esclusione delle religioni dalla sfera pubblica (etsi deus non daretur).