Serve diffondere un immaginario apocalittico per migliorare l’ambiente? La domanda mette in discussione il modo in cui si comunica la gravità della situazione ambientale, non se è grave. Le ricerche scientifiche l’hanno da tempo dimostrato, solo pochi “negazionisti” resistono ma nel discredito, sono invece molti quelli che (pur dichiarandosi green) si fanno gli affari propri a scapito dell’interesse generale, anche perché le conseguenze negative del cambiamento climatico non colpiranno tutti nella stessa misura; siamo sulla stessa barca/pianeta ma le responsabilità e le conseguenze sono diverse tra i nocchieri e i rematori.

Per provare a rispondere alla domanda dobbiamo prenderla un po’ alla lontana, sia pure schematicamente, e partire dalla concezione del tempo. Per gli antichi greci il tempo è ciclico; invece per ebrei e cristiani è lineare, con un inizio (creazione, peccato originale) e una fine (giorno del giudizio, éschaton). La visione escatologica (il fine e la fine) è strettamente connessa a quella apocalittica (rivelazione, catastrofe) e all’attesa del messia (del salvatore che toglie i peccati dal mondo).

La chiesa di Paolo di Tarso (I secolo) è una comunità che attende il ritorno imminente del messia e quindi si disinteressa della politica, ma l’éschaton continuamente annunciato non arriva e la chiesa dell’attesa si trasforma nella chiesa della gestione dell’attesa, di un éschaton spiritualizzato, di un’apocalisse che perde l’urgenza e diventa liturgia, che si esprime nei riti. Nel IV secolo arriva la svolta costantiniana e l’editto di Teodosio che dichiara il cristianesimo niceno unica religione ufficiale dell’impero. Agostino d’Ippona è il primo a elaborare una teologia della politica, sia pure intesa come contenimento del male. Poi Tommaso d’Aquino (nel XIII secolo) la definisce come perseguimento del bene comune.

Comunque, nella dottrina cristiana resta il giudizio universale, la fine della storia, l’apocalisse intesa sempre più come catastrofe (conseguenza del peccato originale) per spaventare l’umanità corrotta e “convincere” i peccatori che non c’è salvezza fuori dalla chiesa (extra ecclesiam nulla salus). Il fondamento dell’alleanza è che dio garantisce la salvezza ma chiede in cambio l’osservanza della legge divina (amministrata dalla chiesa), l’abbandono della “superbia” (dell’hybris prometeica), la docilità verso l’autorità, qualche gesto caritatevole. Ma la modernità pone la questione della legittimità del potere contro i privilegi dei nobili e del clero, afferma l’autodeterminazione dell’umanità, sottopone ogni scelta alla ragione. L’éschaton si secolarizza, l’attesa del regno di dio diventa progetto umano, nasce l’idea di progresso e del diritto/dovere di immaginare (sperare) un futuro migliore, nascono le utopie moderne.

Il progetto illuminista fondato su autodeterminazione, libertà e uguaglianza, non si realizza in modo lineare. Gli schemi religiosi consolidati nei secoli sono talmente pervasivi che – come quando si cola un nuovo materiale in un vecchio stampo – resta la forma del passato. Le utopie moderne non sono la semplice trasposizione laica delle credenze religiose, tuttavia mantengono alcuni caratteri metafisici dell’escatologia cristiana. Anche il sole dell’avvenire può tardare a sorgere, con l’attesa gestita in modo analogamente autoritario da chi se ne proclama interprete autentico. La (necessaria) critica a queste visioni schematiche e contraddittorie della modernità produce però anche il pensiero debole e postmoderno, che decostruisce tutto, anche l’idea di progresso, e finisce per far riaffiorare gli antichi schemi religiosi.

La riedizione del giusnaturalismo è oggi il modo più efficace di riproporre il sacro (deus sive natura, come nell’enciclica Laudato si’), di ridurre un problema politico sistemico a problema esclusivamente etico e individuale. In periodi di crisi (economica, politica, culturale) è più facile perdere la speranza nel futuro prossimo e proiettarla nel futuro remoto (simbolico, metafisico), quindi riproporre l’idea di apocalisse (catastrofe e rivelazione), causata dai peccati di un’umanità superba e contronatura, che si è affidata a una scienza e tecnica che le si ritorce contro (la nemesi della “natura” contro le pretese di autodeterminarsi).

La comunità scientifica ha da tempo esaminato razionalmente le tendenze e le conseguenze del cambiamento climatico, né mancano le ipotesi sulle misure necessarie per affrontarle; non è particolarmente difficile nemmeno individuare i ceti dominanti che hanno gestito con scarsa lungimiranza le limitate risorse del pianeta; è invece molto difficile adottare una politica che, per essere efficace, dovrebbe cambiare il modello di sviluppo e contrastare il potere di chi è e resta il principale responsabile delle condizioni ambientali. Ma qui scatta il there is no alternative e, con esso, riprende piede lo schema dell’ideologia apocalittica che usa toni radicali ma in realtà devia, consola, anestetizza.