Molti donano nelle feste di fine anno, tra il Natale e la Befana: a prima vista sono gesti banali, in realtà con tanti significati stratificati. Non ci sono solo i doni tra singoli individui; molte associazioni ci invitano a farlo con varie motivazioni: Uniti nel dono (a favore dei sacerdoti cattolici), il panettone di Emergency, le stelle di natale dell’AIL (ricerca sulle leucemie), il sostegno ai rifugiati tramite l’UNHCR, e tantissime altre.

IL DONO COME RELAZIONE
La forma più semplice è quella del dono tra amici e parenti: il donatore coglie l’occasione delle feste per regalare qualcosa di utile, o semplicemente un “pensiero” per rinsaldare una relazione (con più o meno soddisfazione del beneficiario). Si dice che il dono è gratuito, in realtà chi dona ha sempre l’aspettativa di una reciprocità: un “ritorno” non sempre economico, ma anche reputazionale, affettivo, consolatorio, salvifico.

MERCANTILIZZAZIONE DEL DONO
Karl Polanyi ci insegna che lo scambio di mercato non è “naturale” ma è intrecciato a reciprocità e redistribuzione; in una società di mercato anche lo schema del donare è inevitabilmente intrecciato e assorbito dall’imprenditore che promuove la propria mercanzia, dicendoci che il tuo dono sarà più gradito se donerai il suo prodotto. Inizialmente la pubblicità è informativa.

SISTEMATIZZAZIONE DEL DONO
Lo schema mercantile funziona e si espande. Il mercato diventa pervasivo, sistemico, un centro di gravità che tende a catturare (sussumere) anche le iniziative nate fuori o addirittura contro il sistema. Alle feste tradizionali si aggiungono le feste del papà (associata a un padre non biologico), della mamma (a una madre vergine), anche dei fratelli (10 aprile), e pure dei nonni (questa è stata creata negli States nel 1978 da Carter e in Italia con la legge 159/2005 da Berlusconi), ecc. ecc. La pubblicità da informativa diventa persuasiva; il gesto tende a sostituire l’oggetto da vendere e/o da donare, che diventa più astratto e simbolico (e i profitti più concreti e elevati).

INDUSTRIALIZZAZIONE DEL DONO
La vendita di beni e servizi, materiali e immateriali, si carica di connotazioni anche emotive, anche “etiche”. Alcune imprese scoprono la responsabilità sociale (o semplicemente la sua utilità), nascono i marchi equi e solidali, i codici etici “green” e “social”, e con essi aumenta la concorrenza per fidelizzare i donatori (“il mio prodotto lava più green”). Ciò per un verso mostra che alcuni valori sono talmente diffusi da condizionare anche il marketing, dall’altro che la raccolta fondi diventa un’industria della carità; la forte concorrenza tra raccoglitori fa aumentare le spese autoreferenziali per le campagne di crowdfunding e esasperare l’uso di immagini scioccanti, per agganciare i sensi di colpa dei potenziali donatori, anche a scapito della dignità dei “beneficati”.

IDEOLOGIA POLITICA DEL DONO
Ogni sistema alimenta una sua ideologia, più efficacemente se può rielaborare schemi radicati nella tradizione. Il rapporto Beveridge ha ispirato il welfare egualitario universalistico del secondo dopoguerra; dopo gli egualitari “trent’anni gloriosi” il neoliberismo torna egemone rilanciando la carità delle Opere pie e “inventando” il Terzo settore: i diritti vengono privatizzati con il principio di sussidiarietà e sostituiti dalla filantropia (marketizzata e esentasse), la lotta egualitaria e solidale dalla carità gerarchica e strumentale. Si riduce l’investimento nella ricerca scientifica che, da scelta politica razionale, diventa un sentimento online, verso Telethon e altri destinatari, non sempre trasparenti. Aumenta la diffidenza e nascono i marchi che certificano il dono “sicuro”.

Alcuni gesti, come il donare qualcosa, che sembrano semplici e trasparenti, in realtà sono spesso complessi e ambivalenti: donate pure per Natale o per la Befana, se ne avete voglia, ma riflettete anche un po’ sulle conseguenze a lungo termine del vostro gesto!