La preside entra in classe, al liceo Fogazzaro di Vicenza, fa alzare in piedi le studentesse e assegna note a chi ritiene vestita in modo inappropriato, con commenti – sulla “ciccia” e la “cellulite che ballonzola” – che mettono a disagio, fino al pianto, le ragazze. La Rete Studenti Medi ha indetto per il 3 giugno una protesta contro i comportamenti di «stampo sessista e grassofobico».

Ad alcuni vecchi di ArciAtea sono venuti in mente i presidi che negli anni ’60 controllavano all’ingresso il collo degli studenti, e non li facevano entrare se avevano una “zazzera da femmina” invece della prescritta “sfumatura alta”, le ragazze invece non dovevano indossare i pantaloni ma grembiule e colletto. Dopo oltre mezzo secolo, cambia un po’ lo standard ma non il controllo se il corpo di studenti e studentesse è conforme agli stereotipi sessisti (ancora) dominanti.

Al liceo Fogazzaro, però, non c’è stato solo un’esercizio di potere tramite l’imposizione di un “buongusto”, ma anche – visti gli “argomenti” usati – una discriminazione basata sull’aspetto fisico, un bodyshaming espresso con volgarità.

Il Corriere della sera del 5 giugno ci informa che i genitori starebbero dalla parte della preside, riduce l’episodio al dress code, rilancia una intervista (apparsa il giorno prima sul Corriere del Veneto) in cui la preside, dopo avere minacciato querele, si dichiara ex-femminista e per il dialogo, ma stigmatizza un’intera generazione di ragazzi che vivono «attaccati al loro telefonino, passano il tempo a guardare le influencer».

Una pezza che è peggio del buco. La preside si concentra su aspetti quanto meno secondari, non sembra capace di cogliere il disprezzo implicito nel suo paternalismo sessista e grassofobico, di saper svolgere una funzione educatrice che tenga anche conto del disagio subito dalle studentesse e dagli studenti durante la pandemia.

Già questo sarebbe sufficiente, anzi d’avanzo, ma tutto diventa ancora più grave se lo si colloca nel contesto di una scuola che ha sempre meno risorse, sempre meno capace di fornire una formazione critica, laica e di qualità, che ha stressato le ragazze e i ragazzi con la DAD senza fare migliorie strutturali, che li invia a un’alternanza scuola-lavoro (pcto) inutile e pericolosa, che li lascia ai margini, con una prospettiva di precariato.

Poi arriva anche una preside che si concentra sul proprio potere di gestire l’abbigliamento mostrando i suoi offensivi pregiudizi.

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L’intervista della preside sul Corriere del Veneto