Arciatea è una associazione nata da poco, e ha da subito promosso il dialogo interculturale, promuovendo la stanza del silenzio negli ospedali insieme a ebrei, musulmani, cristiani di vario orientamento.
Il dialogo e il rispetto reciproco sono importantissimi. La tolleranza, l’accettazione del pluralismo è il minimo; dovremmo puntare più in alto, a fare bene, non solo a evitare di fare male.
Inoltre, il dialogo vero richiede un atteggiamento critico, innanzi tutto verso se stessi, ma serve anche la franchezza, purché sia rispettosa. Per stare nel tema, io apprezzo molte affermazioni contenute nell’enciclica, ma non tutte. Entro nel merito.

Innanzi tutto, l’enciclica stessa dichiara all’inizio che è un “apporto alla riflessione”; la dottrina non cambia di una virgola. Come su altri temi, il papa ha una straordinaria capacità di comunicazione e invia messaggi suggestivi (ma se li osserviamo meglio sono anche contraddittori).

In Fratelli tutti il papa dice che non dobbiamo discriminare le donne, ma (sempre il papa) ha bloccato tutte le iniziative sulla parità delle donne nella chiesa. Nel suo libro La via di Gesù, pubblicato un anno fa, sempre Bergoglio se la prende con Satana e con chi pretende di autodeterminarsi, esalta l’obbedienza dei poveri di spirito, in particolare l’esempio di obbedienza fornito da Maria. E non dico nulla sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sul diritto all’aborto. Certo, l’esaltazione dell’obbedienza non aiuta il dialogo.

So che anche i toni sono importanti, e dobbiamo combattere chi semina odio, non limitandoci a contrapporvi un superficiale buonismo. Prendiamo il tema dell’ecumenismo. La storia, antica e recente, ci ha mostrato i disastri provocati dalle guerre di religione, e in generale da chi ritiene di essere il depositario di una Verità assoluta e la vuole imporre agli altri. Ma non basta il cuius regio eius religio della pace di Augusta con cui nel 1555 venne raggiunto un compromesso in Germania tra cattolici e protestanti, cioè l’obbligo per i sudditi di seguire la confessione religiosa del proprio sovrano.
La nostra società, anche a seguito delle migrazioni, è sempre più articolata, multireligiosa, quindi ben vengano gli appelli al dialogo dell’enciclica.
Però la dottrina non cambia, anche in Fratelli tutti si può leggere “277. La Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni, e «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”, in altri termini, la Verità (assoluta) è la mia, posso riconoscere che parte della mia verità possa essere finita anche nelle altre religioni.
Insomma, sempre meglio che ammazzare gli infedeli o gli apostati, ma un sincero dialogo non deve limitarsi a tollerare chi la pensa diversamente, solo con un ecumenismo cauto, per necessità. Un sincero dialogo richiede una disponibilità a mettere in discussione le proprie verità, considerandole relative e provvisorie, non assolute (come invece Fratelli tutti ribadisce).

Anche riguardo all’ONU; io farei i salti di gioia se l’ONU avesse più potere; rilevo invece che negli ultimi decenni l’ONU si è indebolito, parallelamente all’estendersi della globalizzazione. L’ONU va sostenuto perché fornisce indirizzi, ma se questi non vengono recepiti dagli Stati restano solo belle parole, buoni sentimenti e nient’altro.
Bene sentirsi cittadini del mondo, contro ogni distinzione basata sul suolo e sul sangue, sulla Gemeinschaft, ma c’è cosmopolitismo e cosmopolitismo.
Quello di matrice illuminista si basa sul concetto di cittadinanza (tendenzialmente universale, internazionalista), cioè su individui che si autodeterminano, individui titolari di diritti in quanto cittadini di uno Stato-nazione che garantisce (più o meno bene) l’effettività dei diritti.
C’è anche un cosmopolitismo di matrice romantica e religiosa, giusnaturalista, che considera “naturale” la persona, la famiglia e la comunità, e “artificiale” (innaturale, se non proprio contro natura) lo Stato e la relativa cittadinanza.
In questo caso, il termine diritto viene usato impropriamente, ridotto a propensione etica, a dono di dio, a “natura” antropomorfizzata.

Qui emerge la differenza tra carità e solidarietà (anche se spesso il termine solidarietà viene usato come sinonimo di generosità, di bontà d’animo). Il termine solidarietà, in realtà, esprime un rapporto tra eguali, che lottano insieme per affermare i loro diritti, in quanto cittadini.
La carità, invece, esprime un rapporto gerarchico e strumentale; c’è asimmetria di potere tra chi dona e chi riceve, e non è detto che ci sia interesse, empatia, verso chi riceve il dono, perché la carità può essere intesa come uno strumento per andare in paradiso, per acquietare la propria coscienza, per scaricarla dalle tasse.

Stefano Zamagni – presidente della Pontificia Accademia per le scienze sociali – ci spiega che la fratellanza (basata sul mutuo aiuto) è un concetti tipico dell’Illuminismo, qualcosa che viene dal basso. La fraternità, invece, viene dall’alto, è il riconoscimento della paternità di Dio e sarebbe basata sul prendere senza togliere.
Prendere senza togliere? Il principio di sussidiarietà, che è alla base della dottrina sociale cattolica, è stato usato per privatizzare, con la sanità convenzionata e la scuola paritaria. La sussidiarietà è stata usata per erodere il welfare universalistico, per scivolare dai diritti alla carità.
Ben venga il dialogo e le belle parole dell’enciclica, ma non possiamo fermarci alla superficie: questi concetti non sono semplici opinioni prive di effetti, hanno conseguenze concrete, materiali e spirituali, che investono la nostra vita, la nostra democrazia, il nostro welfare.

Anch’io apprezzo la critica all’individualismo, al pensiero postmoderno, economicista, consumista, privo di valori, edonista, nichilista; ma non tutte le critiche all’individualismo sono (per me) accettabili. Qual è la prospettiva del superamento del nichilismo consumistico?
Per me la prospettiva dovrebbe essere la promozione di un individuo relazionale, capace di autodeterminarsi come singolo e come società, cioè nel quadro della modernità.
Fratelli tutti invece prospetta una soluzione premoderna, comunitarista, gerarchica (sia pure con una gerarchia gentile), basata sulla carità, non sulla solidarietà, cioè sul lottare insieme per rendere effettivi i diritti, per praticare l’uguaglianza, che si realizza quando ci sono pratiche sociali che equilibrano i poteri.

C’è un paradosso. Si riduce la presenza della chiesa cattolica nella società civile, ma aumenta la sua presenza nella società politica. Questo mette in discussione il principio di laicità (etsi deus non daretur, gestire la politica anche se dio non fosse dato).
Tutte le ricerche – vedi anche quella recente di Garelli, Gente di poca fede – ci dicono che aumentano gli atei e gli agnostici, soprattutto tra i giovani. Anche chi si dichiara credente adotta una religione a bassa intensità, cioè non aderisce all’ecclesia, alla comunità dei fedeli come totalità; aderisce in modo selettivo e precario a qualche aspetto della religione, cogliendo caso per caso quello che può servirgli, come in un menù.

D’altra parte, il nichilismo postmodernista non crea problemi solo alle religioni, ma anche in generale alla coesione sociale e alle visioni del mondo razionaliste (sia liberali che socialiste, discendenti entrambe dall’antenato comune illuminista).
Paradossalmente (ma forse non tanto) le encicliche di Bergoglio sono entusiasticamente “laudate” proprio dagli atei devoti e dai principali mezzi di informazione, cioè da quella parte dell’élite dominante che promuove la funzione di controllo sociale delle religioni, anche a scapito della laicità dello Stato.

La sovraesposizione della chiesa nella sfera politica, grazie anche all’abilità comunicativa di Bergoglio, può contrastare alcuni aspetti dei processi di secolarizzazione, ma forse genera contraddizioni anche all’interno del mondo cattolico.
Bergoglio cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte; da un lato cerca di occupare “a sinistra” lo spazio escatologico lasciato libero dalla crisi del socialismo, la speranza in un futuro migliore; dall’altro rassicura i tradizionalisti con il completo immobilismo sul piano della dottrina.

Rinnovo il ringraziamento agli organizzatori di questo incontro, perché dialogare è comunque importante se lo si fa con rispetto, anche per chi ha idee distanti dalle proprie.
Ho cercato di esporre la mia interpretazione dell’enciclica, la mia verità parziale e provvisoria. Dovendo essere breve sono stato schematico e me ne scuso. Non sempre si riesce ad esporre i concetti con le necessarie sfumature e ambivalenze.

Giancarlo Straini, di ArciAtea rete per la laicità APS, intervento alla conferenza “Un mondo in comune

Lo stralcio del video dell’intervento