Chi è anziano si ricorda bene: volevamo cambiare il mondo, la Lombardia, il quartiere. Ci sentivamo parte di un soggetto sociale capace di orientare il cambiamento, contro oppressori ben individuati, ma in fondo nell’interesse di tutti e di ciascuno.
C’era anche una buona dose di ingenuità, ma c’era soprattutto quella forza e determinazione che hanno ridotto le disuguaglianze, esteso i diritti, conquistato il welfare.
Poi i neoliberisti hanno vinto – anche grazie al pensiero debole e postmoderno – ed è iniziata la frammentazione dei diritti e l’erosione dello stato sociale.
La visione del mondo è cambiata: il concetto di intersezionalità sta tentando di recuperare l’intreccio delle diverse forme dell’oppressione, dopo decenni di separazione e di isolamento delle contraddizioni etniche, di genere, e soprattutto del lavoro, frammentato e precarizzato come non mai.
Ma le persone concrete e i concreti soggetti sociali vengono ancora sostituiti da entità astratte, che devono essere “salvate”, non “cambiate”.
Le vittime stavano diventando non soggetti come i neri, le donne, i lavoratori – modo di vedere che indica immediatamente anche i relativi oppressori – ma enti come il pianeta, la natura (o la Lombardia, il quartiere, ecc.).
La controparte così sparisce insieme al soggetto sociale, siamo tutti responsabili delle disgrazie del pianeta, di una natura personificata, sacralizzata, metafisica, apocalittica, che per essere salvata richiede riti propiziatori e gesti simbolici, più che razionali misure politiche.
Il pianeta non deve essere “salvato” ma cambiato. Il pianeta continuerà a girare con più o meno animali e vegetali. Però alcuni di questi animali hanno le risorse e il potere per cavarsela comunque abbastanza tranquillamente. Invece, chi ha meno risorse e potere fa bene a lottare contro il gravissimo riscaldamento globale (o contro la privatizzazione della sanità lombarda, ecc.), non per SALVARE, ma per CAMBIARE il pianeta (e la Lombardia) lottando contro gli oppressori.