“Vi sentivate onnipotenti, invece siete fragili”. Questa (pseudo) analisi diffusa in questi tempi di pandemia viene ripetuta continuamente, talmente spesso che si è trasformata da spiegazione in prescrizione: “dovete sentirvi fragili”.
La naturale paura deve essere superata tramite la ricerca delle soluzioni razionali, l’invito al protagonismo e alla responsabilità. Spesso, invece, la paura è usata per rafforzare il proprio potere, alimentandola contro gli altri (alla Salvini), ma anche contro noi stessi, colpevoli della superbia delle creature che si ribellano al loro Creatore.
Dunque, da una parte abbiamo la fiducia illuminista nell’autodeterminazione dell’umanità, che si è espressa nella storia in vari modi, compresa la speranza socialista nel sol dell’avvenire.
Marx propose di trasformare materialisticamente in scienza questa speranza escatologica che spesso diventava uno schema simile alla provvidenza cristiana.
Successivamente, molti hanno criticato il determinismo delle “magnifiche sorti” e il finalismo che, anche nel campo socialista, rischiava di subordinare le libertà concrete a un Principio metafisico, Onnipotente e Assoluto, o anche che si incarnava in una religione politica nazionalista, in un culto della personalità autoritario.
Questo schieramento – con tutti i suoi limiti e contraddizioni – ha comunque sostenuto l’autodeterminazione di tutti e di ciascuno, basata sulle verità provvisorie della razionalità scientifica, invece che su indiscutibili ed eterodirette “Verità Assolute”.
Chi sta dalla parte della modernità si è contrapposto a chi ci ha sempre detto che siamo deboli e fragili perché siamo peccatori, colpevoli in forme diverse – perché abbiamo offeso una legge divina, una razza, una nazione, una “natura” personificata, una “autorità“ politica – comunque colpevoli verso un principio astratto. Ma se siamo tutti colpevoli in fondo non lo è nessuno, e ci si può “salvare” dalla propria condizione di peccatore purché ci si sottometta al potere (spirituale, politico, patriarcale) e ci si preoccupi delle ingiustizie ipotetiche che verranno sanate in un futuro indefinito (nell’aldilà o nell’aldiqua) purché si sacrifichino oggi l’uguaglianza concreta e le libertà concrete.
Sottolineare la fragilità e la debolezza dell’umanità non invita alla lotta e al protagonismo per cambiare il mondo ma alla rassegnazione, a qualche gesto simbolico, alla preghiera per “salvare” il mondo, compito che spetta solo ai santi o ai supereroi: noi persone normali possiamo solo tifare per i buoni sentimenti e accontentarci con qualche piccolo gesto simbolico.
Perché se siamo fragili non possiamo essere protagonisti.