Il protocollo prevede che l’accesso ai luoghi di culto avvenga in modo “da evitare ogni assembramento sia nell’edificio sia nei luoghi annessi, come per esempio le sacrestie e il sagrato”, rispettando la distanza di sicurezza di almeno un metro fra le persone e contingentando l’accesso all’interno delle chiese (non c’è un numero prefissato, dipenderà dalla capienza delle strutture e dalle persone “in coda”). Sarà obbligatorio l’utilizzo della mascherina e l’adozione di tutte le norme di comportamento atte a prevenire le possibilità di contagio (sanificazione e areazione dei locali, igienizzazione delle mani). Cambieranno anche le modalità con cui saranno celebrati i riti: le acquasantiere saranno vuote, si continuerà a omettere lo scambio del segno della pace, ci sarà un organista ma non il coro, la comunione sarà distribuita con guanti monouso e l’ostia sarà offerta “senza venire a contatto con le mani dei fedeli”, le unzioni saranno effettuate con tutti i necessari dispositivi di produzione. Inoltre, le offerte saranno raccolte solo tramite i contenitori fissi e si rinuncerà ai libretti per i canti e agli altri sussidi cartacei.

Perché permettere le messe non è una buona idea
Si tratta di misure sufficienti a ridurre il rischio contagio? Non possiamo dirlo con certezza e già tale dubbio dovrebbe costituire una ragione sufficiente per valutare con maggiore prudenza l’idea. Quella stessa cautela che ha finora ispirato le scelte del governo e che ora si abbandona di colpo, esponendo il Paese a un rischio evitabilissimo. Peraltro, il via libera non riguarda tutte le occasioni di incontro sociale (per tacere poi delle situazioni di teatri e cinema), ma paradossalmente solo quelle più a rischio.

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